Nel 1961 Piero Manzoni inscatola ed espone i propri escrementi. C’è poco da aggiungere. Se non che, a dispetto della vulgata comune, a colpire è proprio questa semplicità disarmante: una scatola metallica di conserva sigillata; un’etichetta che, in quattro lingue (italiano, francese, inglese, tedesco), enuncia il contenuto: trenta grammi di merda “conservata al naturale”, come puntigliosamente specificato. Tirata in novanta esemplari (di cui molti oggi dispersi) come un multiplo, ognuno di questi è venduto al prezzo della quotazione giornaliera dell’oro (basta questa transizione per stabilire un rapporto col coevo Yves Klein ?). Ma l’anno scorso un singolo pezzo è stato acquistato dalla Tate Gallery per la somma di 52mila dollari: gli escrementi sono diventati più preziosi dell’oro.
Difficile andare oltre: è bastata una scatola a mettere in imbarazzo schiere di storici dell’arte, che non sapevano più cosa farsene del loro bagaglio critico. E quando all’artefatto -scultura o oggetto che si– sembra confarsi il lessico più tradizionale, questi finisce per essere rovinosamente trascinato in un gorgo fatale (fecale?): come articolare qui, ad esempio, il rapporto tra forma e contenuto? Evidentemente, il richiamo escatologico non fa che nascondere un dispositivo più sottile, legato non solo al fatto –di per sé non pacifico, ma certo non nuovo nella fenomenologia dell’arte del novecento- che le feci possano accedere alla sfera dell’artistico. Nonostante sia Manzoni a compiere il passage à l’acte, è dai tempi di Cézanne che qualcosa del genere –una creazione anale- era nell’aria e già Apollinaire parlava di un artista italiano che intorno al 1913-14 dipingeva utilizzando escrementi, come oggi fa del resto Chris Ofili .
Lo scandalo più genuino dell’opera è infatti quello di far arrendere lo spettatore alla propria cecità e impotenza davanti ad un oggetto visibile che rinuncia a donarsi totalmente alla vista (e all’olfatto), per ritrarsi in un’invisibilità permanente. Ad attestare il contenuto, solo un enunciato stampato sull’etichetta secondo i canoni dell’estetica propria al packaging dell’epoca e soprattutto la firma dell’artista sul coperchio della scatola. L’opera richiede un atto di fiducia nel potere di nominazione del linguaggio, nella testualità che nasconde la facies visiva che non si farà mai immagine. In altri termini, sono le parole di Manzoni, e non le sue deiezioni, che fanno problema. Come ha scritto J. P. Criqui, qui abbiamo a che fare con una “merda scritta”. Il contenuto artistico è lì, a portata di mano, ma nascosto secondo la logica moderna dello smaltimento degli escrementi (che ultimamente ha interessato un esuberante pensatore come Žižek per i suoi risvolti filosofici).
Certo, esiste una via di fuga: manomettere un scatola e vedere cosa c’è veramente dentro, ponendo così fine all’unità dell’opera, al suo classico equilibrio fra forma e contenuto come al suo valore aureo di scambio. Un passo inevitabile: qualche anno fa un artista francese ne ha aperta una (come ha ricordato Denys Riout in una recente conferenza al Centre Pompidou, affollata nonostante le immagini ripugnanti proiettate durante una tranquilla mattina domenicale). Purtroppo la fotografia che testimonia l’operazione è presa da una prospettiva che –ancora una volta!- non permette di guardare dentro. Ad ogni modo, da quanto si dice, all’interno si nasconde una scatola più piccola raffermata da uno strato di ovatta che le impedisce di sballottare. Altre scatole sono state addirittura sottoposte ai raggi X, esame che avrebbe confermato la struttura a matrioska. Per la cronaca, ancora nessuno, finora, ha aperto la scatola più piccola: operazione sterile, perché l’intento di Manzoni era quello di fare un’opera che parlasse dell’arte e del suo consumo. In questa scatola è in realtà messo in conserva, in anticipo sui tempi, tutto il potenziale dell’arte concettuale.
Piero Manzoni
Merda d’artista
1961.metallo e carta, cm. 6,5x4,8.
L’immagine è tratta da http://home.sprynet.com/~mindweb/maincan.htm
riccardo venturi
tratto da http://www.exibart.com/notizia.asp/IDNotizia/10248/IDCategoria/208
lunedì 7 gennaio 2008
Merda d'artista
Etichette:
arte,
coprofagia
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