giovedì 28 marzo 2019

La violenza simbolica di Pierre Bourdieu

Il fatto che la violenza sia universale non implica che non sia violenza. Inoltre, certo, la violenza simbolica è una forma universale di violenza. A questo riguardo credo anzi che la nozione di violenza simbolica serva a ricordarci un aspetto fondamentale della nozione di cultura. Si è soliti dire che la cultura è una specie di codice comune a due locutori, che fa sì che i due locutori associno lo stesso senso allo stesso segno, e lo stesso segno allo stesso senso; dunque la cultura è un medium di comunicazione, perché il linguaggio è un medium di comunicazione. Si può dire che a partire da una teoria della cultura o del linguaggio, o di qualsiasi altro strumento simbolico, si può elaborare una filosofia del consenso. Il consenso è il fatto di essere d'accordo sul codice di comunicazione. Ebbene, penso che la nozione di violenza simbolica sia molto importante per ricordarci che questo consenso sul codice rende possibile una comunicazione che a sua volta rende possibile la dominazione. In altri termini, la violenza simbolica è una dominazione che suppone un codice comune. E questo è importantissimo: la dominazione all'interno di una società si compie sulla base di un codice comune. È nella misura in cui, attraverso il sistema di insegnamento, i dominati acquistano un minimo di accesso al codice culturale comune, che una forma di dominazione può esercitarsi su di loro. In altre parole, avviene qualcosa di molto paradossale. A una visione semplice della cultura si sostituisce una definizione bifaccia: d'accordo, la cultura è uno strumento di comunicazione ma, allo stesso tempo, è uno strumento di dominazione che suppone la comunicazione. Dunque, non si può dire "è un bene, è un male." Usciamo dalle dicotomie ordinarie. A proposito del ruolo dello stato, inoltre, sulla scia di Weber sottoscrivo in pieno l’idea che lo stato detiene il monopolio della violenza legittima; ma io aggiungo che lo stato ha anche il monopolio della violenza simbolica legittima. Lo stato, cioè, è un grande produttore di codici comuni. https://www.doppiozero.com/materiali/pierre-bourdieu-la-violenza-simbolica

venerdì 15 marzo 2019

Mistress Jane

Mistress Jane, regia di Roberto Hevia Roquer, la protagonista italiana e' Giulia Giovanetti. E' un bel cortometraggio che ha vinto tanti premi nel Los Angeles Award 2017, emozionante per nulla sadomaso nel senso ortodosso della mistress dominante.

venerdì 8 febbraio 2019

Perche' il comportamento sessuale

Perché il comportamento sessuale,
perché le attività e i piaceri che dipendono da esso,
sono oggetto di preoccupazione morale?
Perché questa irrequietezza etica che,
almeno occasionalmente, in certe società o in certi gruppi
sembra più importante dell'attenzione morale prestata
ad altri domini necessari per la vita individuale o collettiva,
come le abitudini alimentari o gli adempimenti civici?

MF

giovedì 7 febbraio 2019

Morte durante attività sadomasochiste (Cass. 44986/16) La sentenza

Ciò che esclude la riconduzione delle pratiche sadomaso (bondage, breath playing) al concetto di 'attività violenta' è l’assenza della volontà di provocare sensazioni dolorose ai soggetti che ad esse si sottopongono, essendo piuttosto tese a procurare piacere.

Né la natura di dette pratiche muta per il fatto che contengono elementi di costrizione, in sé neutri, o sono suscettibili di provocare sensazioni dolorose: queste sono richieste, infatti, e accettate, per imperscrutabili ragioni dell’animo umano, da coloro che si sottopongono alle pratiche in questione, per cui non sono idonee a mutare la qualificazione giuridica delle condotte da cui hanno origine.

https://canestrinilex.com/risorse/morte-durante-attivita-sadmoasochiste-cass-4498616/

CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE SENTENZA 26 ottobre 2016, n.44986 - Pres. Palla – est. Settembre

Ritenuto in fatto

1. La Corte di Assise d’appello di Roma ha, con la sentenza impugnata, confermato quella emessa - all’esito di giudizio abbreviato - dal Giudice dell’udienza preliminare del locale Tribunale, che aveva condannato M.S. per omicidio colposo, aggravato dalla previsione dell’evento, in danno di C.P. , e, in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti del medesimo M. per lesioni personali colpose in danno di F.F. per mancanza di querela, rideterminando, di conseguenza, la pena inflitta all’imputato.

Secondo quanto accertato in sentenza, e non contestato, la notte del (omissis) , dopo aver consumato in vari locali alcol ed hashish, l’imputato e due giovani amiche (C. e F. , appunto, di anni 23), si ritrovarono nel garage dell’(omissis) , ove, di comune accordo, si dettero alla pratica di giochi erotici a base sadomaso. In particolare, l’accordo prevedeva l’adozione di tecniche di bondage, ossia di costrizione fisica, anche mediante legatura. In effetti, F. fu legata, da M. , col braccio destro leggermente proteso verso l’alto e col sinistro ritratto verso il corpo, parallelamente al terreno. La ragazza aveva un piede per terra e l’altro sollevato - con una legatura - a circa venti centimetri dal pavimento, nonché una corda intorno al collo, con nodo bloccato, collegata ad altre corde ancorate dietro di lei. La C. , invece, fu legata con le braccia dietro la schiena, in posizione eretta, con entrambi i piedi per terra. Anche a C. fu applicata una corda intorno al collo, con nodo bloccato, ed anche questa corda fu legata ad altre corde tese alle sue spalle. Pochi secondi dopo l’avvio della pratica C.P. accusò un malore, perse i sensi e si accasciò al suolo, mettendo in tensione, col peso del suo corpo (circa 100 kg), la corda che girava intorno al suo collo e quelle a cui la corda suddetta era collegata, nonché quelle che immobilizzavano F.F. . In conseguenza di ciò entrambe le ragazze entrarono in difficoltà respiratoria e, sebbene soccorse da M. , riportarono entrambe gravi lesioni, in conseguenza delle quali C. decedette e F. rischiò la vita.

2. L’accusa mossa dal Pubblico Ministero a carico di M. è stata, fin dall’inizio, quella di omicidio preterintenzionale, per C. , e di lesioni volontarie gravi per F. . Il Giudice dell’udienza preliminare e la Corte d’Assise d’appello hanno ricondotto la fattispecie in esame a quella dell’omicidio colposo aggravato dalla previsione dell’evento, quanto alla C. , e a quella delle lesioni colpose gravi, quanto alla F. , ritenendo che M. non avesse accettato il rischio di procurare la morte o le lesioni alle due ragazze. Ciò in base alle seguenti considerazioni: a) la pratica era stata avviata col consenso delle vittime, non inficiato dalle modeste quantità si alcol e stupefacenti assunti in precedenza; b) il nodo intorno al collo delle donne era stato 'bloccato' a sufficiente distanza dalle vie respiratorie; c) M. si era immediatamente attivato per soccorrere le ragazze ed era riuscito nell’intento solo in maniera parziale (con F. ) per imprudenza e negligenza, in quanto non si era munito, preventivamente, di forbici o coltello (rinvenuto, dopo affannosa ricerca, all’interno della sua autovettura); d) M. aveva subito avvertito i carabinieri e confessato i fatti. Tutto ciò dimostrava - secondo i giudici - che la pratica sadomaso suddetta non era stata avviata da M. allo scopo di infliggere sofferenza alle donne, ma allo scopo di procacciare alle stesse, e a sé stesso, un più intenso piacere sessuale, cosicché era da escludere che la morte di C. e le lesioni alla F. fossero state conseguenza di percosse o lesioni, presupposto necessario dell’omicidio preterintenzionale e delle lesioni volontarie. Era da ravvisare, invece, il meno grave delitto di omicidio con previsione dell’evento (per C. ) e di lesioni colpose per F. , stanti le gravi imprudenze poste in essere dall’imputato (questi era alle prime armi con le tecniche di bondage; sia lui che le ragazze non erano in perfetta efficienza fisica, avendo assunto alcol e stupefacenti in precedenza, sia pure in quantità modesta; la pratica fu attuata senza le minime precauzioni del caso: vedi mancanza di strumenti da taglio a portata di mano; l’applicazione di corde intorno al collo rendeva concreta la rappresentazione di un evento letale).

3. Contro la sentenza suddetta hanno proposto ricorso per Cassazione tutti i protagonisti processuali: Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Roma, parte civile e imputato.

3.1. Il Pubblico Ministero insiste per la riqualificazione dei fatti in termini di omicidio preterintenzionale per C. e di lesioni volontarie gravi per F. , ritenendo erronea quella operata dai giudicanti. Ciò, in base al rilievo che M. era ben consapevole dei pericoli da lui creati e del fatto che le pratiche da lui poste in essere comportavano necessariamente, per le due donne, sensazioni di dolore, se non vere e proprie abrasioni, da ricondurre alla nozione di percosse o lesioni volontarie. Per effetto di ciò la morte di C. rappresenta l’evento di condotte dolose, dirette a ferire, sicché gli va imputato per la sua prevedibilità. Il ricorrente sottolinea che, per la giurisprudenza di legittimità, il delitto di omicidio preterintenzionale ricorre anche quando gli atti diretti a commettere uno dei delitti previsti dagli articoli 581 e 582 cod. pen. - dai quali sia derivata la morte come conseguenza non voluta - siano stati posti in essere con dolo eventuale ('accettando il rischio di cagionare con la propria condotta sensazioni dolorose e lesioni'); inoltre, che il consenso prestato dalle ragazze non può avere, nello specifico, efficacia scriminante, essendo 'assolutamente imprevedibili le conseguenze della condotta del M. ', anche da parte di quest’ultimo, e che il consenso prestato dalle vittime era comunque invalido, ex art. 5 cod. civ., riguardando pratiche sadomaso poste in essere in luogo pubblico (il garage dell’Agenzia delle Entrate), e perciò sanzionate dall’art. 527 cod. pen..

3.2. La parte civile (madre di C.P. ) ricorre anch’essa per violazione dell’art. 584 cp e per l’illogicità della motivazione con cui è stata operata la diversa qualificazione del reato. Sottolinea anch’essa che il reato di omicidio preterintenzionale ricorre pur quando gli atti diretti a percuotere o ferire siano stati posti in essere con dolo eventuale (cioè, con la rappresentazione, da parte dell’agente, 'della probabilità o semplice possibilità del verificarsi delle percosse o delle lesioni'), com’è dato - secondo la ricorrente - constatare nella specie.

Lamenta che i giudici di merito abbiano travisato il materiale probatorio (C.T. medico legale del dr. B. ; C.T. Tossicologica, a firma del dr. R. ; C.T. criminologica, a firma del prof. I. ; le dichiarazioni di L. , esperto di pratiche sadomaso; le dichiarazioni dello stesso imputato) e che abbiano ravvisato - nei fatti - la colpa con previsione, pur richiamando atti processuali che certificano l’esistenza del dolo. Infatti, aggiunge, la Corte ha riconosciuto che 'provocare una sensazione dolorosa attraverso il soffocamento, sia pure in vista del conseguimento del successivo piacere sessuale, equivale a integrare il dolo di percosse' ed ha richiamato la consulenza medico legale del dr. B. (che ha individuato la causa del decesso 'nell’asfissia meccanica da impiccamento'), nonché le dichiarazioni del teste L. ('maestro' nelle discipline del sadomasochismo, che aveva formulato l’ipotesi del breath playing) e la consulenza del prof. I. (che aveva ritenuto più plausibile l’ipotesi del legamento-soffocamento); eppure ha concluso - incoerentemente - per ritenere non provato il 'gioco dell’asfissia', che rimanda alla prevedibilità delle lesioni (e quindi all’omicidio preterintenzionale). Critica poi la motivazione con cui è stata ravvisata la volontarietà del consenso prestato dalle ragazze, nonostante si dia atto che le due avevano assunto alcol e stupefacenti, ed il silenzio serbato intorno alle dichiarazioni rese da M. nel corso di una inchiesta giornalistica, andata in onda il 22/1/2012, allorché riconobbe che 'mettere le corde intorno al collo è pericoloso e non si deve fare'.

3.3. L’imputato ricorre con tre motivi. Col primo lamenta l’erronea applicazione, in relazione all’omicidio preterintenzionale, dell’art. 61, n. 3, cod. pen., nonché l’assenza di motivazione sul punto. A suo giudizio, tutti gli elementi valorizzati dai giudici di merito per ritenere provata la previsione - da parte sua dell’evento letale depongono, invece, per il carattere colposo della condotta e rilevano esclusivamente per la determinazione del grado della colpa, afferendo alla imperizia e negligenza dell’agente, e non alla possibilità di prevedere l’evento. Inoltre, si tratta di argomentazioni in parte contraddittorie e in parte fondate su presupposti erronei. Infatti, il coltello era da lui detenuto all’interno della propria autovettura, parcheggiata a pochi metri di distanza, e quindi a portata di mano, ed i nodi che serravano le corde intorno al collo delle ragazze erano 'bloccati', e quindi inidonei a costituire pericolo per la loro incolumità.

Inoltre, le donne poggiavano con uno o due piedi per terra, sicché non v’era pericolo 'di restare sollevate in aria'. Tutto ciò dimostra, quindi, a suo giudizio, che egli non poteva ragionevolmente prevedere che la pratica potesse avere, in concreto, un esito fatale. Sottolinea che coessenziale all’aggravante in parola è 'la rappresentazione o rappresentabilità concreta dell’evento' e che la sua sussistenza deve essere oggetto di specifico accertamento, del tutto omesso, invece, nel caso specifico. Lamenta che, del tutto irragionevolmente, la Corte di merito abbia negato rilevanza - per escludere il nesso causale - al malore che colpì C.P. ; malore - del tutto imprevedibile, dovuto, verosimilmente, ad 'una pregressa patologia clinica - che deve essere considerato la vera causa del decesso di quest’ultima.

Col secondo motivo deduce una mancanza di motivazione in ordine al giudizio di bilanciamento tra circostanze e col terzo la violazione dell’art. 133 cod. pen., dovuta al fatto che la Corte di merito ha attribuito rilevanza esclusivamente alla gravità della condotta e al grado della colpa, 'omettendo di valutare tutti gli altri elementi positivi che avrebbero potuto permettere al giudice di contenere la pena entro limiti meno elevati'.

Considerato in diritto

I ricorsi sono tutti infondati e vanno, pertanto, rigettati.

1. Il ricorso del Pubblico Ministero e della parte civile pongono la medesima questione di diritto e vanno, pertanto, affrontati unitariamente. A giudizio dei suddetti ricorrenti, il fatto è da qualificare in termini di omicidio preterintenzionale perché - fondamentalmente - l’imputato pose in essere atti diretti a percuotere o ferire, per cui l’evento morte (per C. ) e l’evento lesioni (per F. ) gli vanno imputati: non è ben chiaro se perché accettò il rischio del loro verificarsi, perché li previde in concreto, perché si trattava di eventi prevedibili o perché vanno loro imputati oggettivamente (le sole alternative che hanno giuridica rilevanza).

La tesi non può, comunque, essere condivisa.

1.1. Vale la pena fare, preliminarmente, chiarezza sui principi. Ai fini del delitto di omicidio preterintenzionale, l’elemento psicologico consiste nell’aver voluto (anche solo a livello di tentativo) l’evento minore (percosse o lesioni) e non anche l’evento più grave (morte), che costituisce solo la conseguenza diretta della condotta dell’agente. Questa Corte ha anche precisato - innovando rispetto a precedente giurisprudenza - che l’elemento soggettivo del delitto di omicidio preterintenzionale non è costituito da dolo e responsabilità oggettiva né dal dolo misto a colpa, ma unicamente dal dolo di percosse o lesioni, in quanto la disposizione di cui all’art. 43 cod. pen. assorbe la prevedibilità di evento più grave nell’intenzione di risultato. Pertanto, la valutazione relativa alla prevedibilità dell’evento da cui dipende l’esistenza del delitto 'de quo' è nella stessa legge, essendo assolutamente probabile che da una azione violenta contro una persona possa derivare la morte della stessa (Cass., n. 791 del 18/10/2012).

Elementi essenziali dell’omicidio preteintenzionale sono, pertanto, secondo l’espresso dettato normativo, 'atti diretti' a percuotere e/o ferire; vale a dire, atti diretti ad esercitare una coazione fisica sulla persona - riconducibili alla previsione dell’art. 581 cod. pen., ovvero a quella dell’art. 582 - che abbiano, come fine ultimo, l’inflizione di una sofferenza (sia essa - nelle percosse - una sensazione di dolore o di fastidio; ovvero - nelle lesioni - una menomazione, anche temporanea, dell’integrità fisica). In ogni caso è richiesta, quindi, una violenta manomissione della fisicità del soggetto passivo, attuata contro la volontà di quest’ultimo. Di conseguenza, l’elemento psicologico del reato di percosse o lesioni è dato dalla coscienza e volontà di serbare una condotta violenta, tale da cagionare alla vittima una sensazione di dolore (nelle percosse) o una malattia (nelle lesioni).

Un siffatto elemento psicologico è stato ragionevolmente escluso dal giudice della sentenza impugnata, il quale ha rilevato che la condotta - posta in essere da M. col consenso di C. e F. - non era diretta a procurare alcuna sofferenza alle giovani malcapitate, ma, in ipotesi, un 'piacere', sia pure umanamente discutibile. E tanto basta ad escludere che sia stato realizzato - da M. - il presupposto dell’omicidio preterintenzionale, giacché un’attività ontologicamente rivolta (con tutte le riserve del caso) a procurare un piacere non può essere posta sullo stesso piano di un’attività rivolta a procurare una sofferenza, per l’ontologica diversità tra esse esistente. L’ontologicità della condotta - comprensiva di elemento oggettivo e soggettivo - non muta per il fatto che, nel caso esaminato, la condotta di M. era caratterizzata (anche) da pratiche costrittive, ovvero per il fatto che l’attività da lui spiegata avrebbe potuto, prevedibilmente, provocare delle abrasioni o delle ecchimosi sul corpo delle ragazze, giacché l’elemento soggettivo dei reati in questione non può essere individuato prescindendo dall’oggetto giuridico del reato, che è dato dalla tutela della incolumità individuale (ovvero, secondo certa dottrina, anche dalla 'signoria dell’uomo sulla propria sfera senso-percettiva'), sicché solo le condotte coscientemente rivolte ad offendere il bene suddetto realizzano la tipicità del reato. Prova ne sia che, se si dovesse avere riguardo solo all’aspetto naturalistico della condotta e alle sue conseguenze, rientrerebbero nel fatto tipico anche condotte rivolte (non all’offesa, ma) alla tutela dell’integrità fisica (come la condotta del medico che incida sui tessuti del paziente per estirpare un male; la condotta del rianimatore che schiaffeggi la persona per farla rinvenire; ecc. ecc.). Vi rientrerebbero, assurdamente, anche le pratiche sessuali 'normali', le quali determinano, comunque, microlesioni - generalmente impercettibili - sul corpo dei praticanti (o effetti più appariscenti - quali ecchimosi, tumefazioni o graffi - a seconda delle modalità di consumazione del rapporto o della foga in esso profusa).

1.2. Tale impostazione non contrasta con l’orientamento di legittimità, richiamato da entrambi i ricorrenti (anzi, è da esso confermata), secondo cui il delitto di omicidio preterintenzionale ricorre anche quando gli atti diretti a commettere uno dei delitti previsti dagli artt. 581 e 582 cod. pen., dai quali sia derivata, come conseguenza non voluta, la morte, siano stati posti in essere con dolo eventuale. Tale giurisprudenza è stata elaborata, infatti, proprio con riferimento a casi in cui la morte della vittima era conseguita a condotte rivolte a percuotere o ferire, poste in essere dall’agente o da un complice, ed era stata la conseguenza prevedibile della condotta tenuta (nel caso esaminato dalla sentenza n. 4237 del 11/12/2008 l’imputato aveva volontariamente sospinto, con la motrice di un camion, la vittima; nel caso esaminato dalla sentenza n. 44751 del 12/11/2008 l’imputato aveva concordato con altri l’esecuzione di una rapina, a cui era conseguita la morte del rapinato per effetto della condotta violenta del complice; nel caso esaminato dalla sentenza n. 40202 del 13/10/2010 l’imputato aveva sparato alcuni colpi di pistola contro un soggetto in fuga); vale a dire, di una condotta rivolta - comunque - a offendere il bene tutelato dagli artt. 581 e 582 cod. pen.. Conseguentemente, pertanto, e in coerenza coi principi sopra richiamati, la Suprema Corte ha ritenuto, nei casi suddetti, che l’evento dovesse essere addebitato all’autore delle percosse o delle lesioni, siccome a queste collegato causalmente. Ma è evidente che i casi passati in rassegna non sono - per le ragioni sopra esposte - assimilabili a quello di cui si discute, per l’assenza della volontà di percuotere o ferire. Inconferenti sono, pertanto, tutte le disquisizioni sulla qualificazione della pratica di cui si discute ('bondage' o 'breath playing'), giacché ciò che esclude la riconduzione delle pratiche suddette al concetto di 'attività violenta' - inquadrabile nelle fattispecie di percosse o lesioni - è l’assenza della volontà di provocare sensazioni dolorose ai soggetti che ad esse si sottopongono. Né la natura di dette pratiche muta per il fatto che contengono elementi di costrizione, in sé neutri, o sono suscettibili di provocare sensazioni dolorose: queste sono richieste, infatti, e accettate, per imperscrutabili ragioni dell’animo umano, da coloro che si sottopongono alle pratiche in questione, per cui non sono idonee a mutare la qualificazione giuridica delle condotte da cui hanno origine.

1.3. Sotto altro profilo non può farsi a meno di considerare, poi, che i reati di lesioni e percosse presuppongono il dissenso della persona offesa rispetto alle attività violente su di lei esercitate. Dissenso insussistente nella specie, essendo certamente presente il consenso di C. e F. rispetto alle attività costrittive su di loro esercitate. Anche per questo motivo è da escludere che sia venuta ad esistenza la condizione principale per la configurabilità del delitto di omicidio preterintenzionale.

Le riserve sollevate da entrambi i ricorrenti sulla validità del consenso prestato dalle ragazze attengono, evidentemente, a questione di fatto, su cui il sindacato Corte della Corte di Cassazione può esercitarsi (esclusivamente) per la verifica della congruenza e logicità della motivazione. E la Corte territoriale, sottolineando che tutti i partecipanti al 'gioco' avevano assunto 'modiche quantità' di alcol e sostanza stupefacente e che le ragazze e M. avevano già esperienza del 'gioco' (circostanze, queste, nemmeno messe in discussione dai ricorrenti), ha spiegato sufficientemente perché il consenso prestato da C. e F. non fosse da ritenere invalido. Certamente non è da ritenere invalido, poi, perché (circostanza sottolineata dal Pubblico Ministero ricorrente) 'erano assolutamente imprevedibili le conseguenze della condotta del M. ', trattandosi di profilo attinente alla colpa, per come si dirà, e non certo alla efficacia scriminante del consenso; ovvero per contrasto con l’art. 5 cod. civ., che vieta gli atti di disposizione del proprio corpo che cagionino una diminuzione permanente dell’integrità fisica o siano altrimenti contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume, giacché, nella specie, il consenso prestato dalle ragazze non riguardò un atto del primo tipo, né atti del secondo tipo. È pacifico, invero, che non vi fu alcuna 'disposizione' del proprio corpo da parte delle ragazze, mentre il luogo prescelto per il fatto non ha alcuna incidenza sulla validità del consenso, potendo, semmai, dar luogo ad autonoma responsabilità per violazione di altre norme amministrative o penali. Tanto, a prescindere dal fatto che - data la ratio dell’art. 527 cod. pen. - 'luogo pubblico' non è quello di proprietà di un ente pubblico, ma quello a cui può accedere il pubblico, cosicché possa risultare violato il bene sotteso alla disposizione citata. Nella specie, nessun argomento è stato speso per spiegare perché al garage dell’Agenzia delle Entrate potessero accedere, all’ora e all’epoca del fatto, terze persone.

1.4. Di assoluta irrilevanza, infine, sulla ricostruzione dell’elemento psicologico del reato sono le dichiarazioni rese da M. nel corso della trasmissione televisiva del (OMISSIS) (allorché riconobbe - secondo la parte civile ricorrente che 'mettere le corde intorno al collo è pericoloso e non si deve fare'). A parte il fatto che si tratta di dichiarazioni rese, secondo la stessa ricorrente, dopo l’evento per cui è processo (e, quindi, allorché anche M. aveva capito, dopo l’esperienza vissuta, che 'è pericoloso e non si deve fare'), resta il fatto che la pericolosità della condotta rimanda alle precauzioni adoperate per fronteggiarla, e quindi, eventualmente, alla colpa; non certo al dolo.

2. Il ricorso di M. è ugualmente infondato. La colpa cosciente è data, per unanime opinione, dalla previsione dell’evento, che l’agente ritiene di poter evitare, confidando nella sua abilità. Nella specie, il fatto che M. avesse previsto l’evento mortale - ma confidasse nella sua capacità di evitarlo - è stato dimostrato, oltre che con argomenti effettivamente poco conferenti, col sottolineare che aveva frequentato corsi di sado-masochismo, col fatto che aveva 'bloccato' il nodo della corda posta intorno al collo delle ragazze e con l’evidente pericolosità della situazione da lui creta, che rendevano evidente, anche a persona poco accorta, il rischio di passare dal 'gioco' alla tragedia. Dovendosi accertare uno stato psicologico, gli argomenti sopra esposti appaiono effettivamente dotati della carica di persuasività necessaria alla dimostrazione richiesta, perché conducenti rispetto al dato che si è inteso dimostrare, mentre le censure difensive non evidenziano nessuna incongruenza o illogicità argomentativa idonea a scardinare il ragionamento del giudicante. Le pretese 'contraddizioni' nel ragionamento giudiziale - riportate in parte narrativa - non sono infatti tali (il 'nodo bloccato' non rappresentava affatto una garanzia assoluta rispetto all’eventualità dello strangolamento; il fatto che le donne poggiassero con un piede per terra non diminuiva, sotto alcun profilo, il rischio connesso alla perdita dell’equilibrio), mentre i 'presupposti erronei' - da cui, secondo il ricorrente, si sarebbero mossi i giudici di merito - sono assertivi, o riguardano dati soggettivamente e liberamente interpretati (il coltello per recidere le corde non era affatto a portata di mano, se si trovava, come riconosciuto dal ricorrente, nella sua auto, ovunque questa fosse parcheggiata).

Assertiva è anche la 'patologia clinica' che colpì C.P. , posto che il ragionamento difensivo non poggia su alcun atto processuale (che, infatti, non viene richiamato). Del resto, la sentenza impugnata si è espressa, sul punto, con parole inequivocabili (pagg. 9-10), che il ricorrente non si è nemmeno preoccupato di confutare, sicché non può che rilevarsi la genericità - sul punto della doglianza.

2.1. Le lamentele che attengono al trattamento sanzionatorio sono inammissibili per totale genericità, in quanto si dà atto che la determinazione della pena è stata effettuata con riferimento alla gravità della condotta e al grado della colpa: vale a dire, in base ad elementi che costituiscono legittimo riferimento per l’esercizio della potestà sanzionatoria; d’altra parte, si invocano 'altri elementi positivi' nemmeno enunciati nella loro consistenza. Quanto al bilanciamento tra le circostanze, trattasi di giudizio che rientra nella discrezionalità del giudice e non postula un’analitica esposizione dei criteri di valutazione (C., Sez. I, 9.12.2010, n. 2668; C., Sez. II, 8.7.2010, n. 36265; C., 26.3.1990; C., Sez. IV, 10.6.1988; C., Sez. I, 18.5.1987; C., Sez. V, 8.4.1986). Pertanto, non incorre nel vizio di motivazione il giudice di appello che, nel formulare il giudizio di comparazione, dimostri di avere considerato e sottoposto a disamina gli elementi enunciati nella norma dell’art. 133 cod. pen. e gli altri dati significativi, apprezzati come assorbenti o prevalenti su quelli di segno opposto (Cass., n. 3610 del 15/1/2014). Nella specie, il riferimento alla condotta sconsiderata di M. e alla sua 'assoluta imprudenza' vale a illustrare il percorso seguito nel giudizio di comparazione ed esclude, pertanto, che il giudice d’appello si sia sottratto all’onere di motivazione su di lui gravante.

3. Segue a tanto il rigetto dei ricorsi, atteso che i motivi proposti, pur se non manifestamente inammissibili, risultano infondati per le ragioni sin qui esposte; ai sensi dell’art. 592 c.p.p., comma 1, e art. 616 c.p.p le parti private ricorrenti vanno condannate al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna il ricorrente M.S. e la ricorrente parte civile P.C. al pagamento, ciascuno, delle spese processuali.

mercoledì 6 febbraio 2019

Quell'altro modo per...

Una delle poche cose che il bdsm non si puo' permettere e' dire che "c'e' un solo modo per..." perche' il bdsm per definizione non e' quell'unico modo bensi' quell'altro modo.

domenica 3 febbraio 2019

Nine Inch Nails: Happiness In Slavery

Nine Inch Nails: Happiness In Slavery (Uncensored) (1992) Starring the late Bob Flanagan. Directed by Jon Reiss.

Nine Inch Nails: Happiness In Slavery (Uncensored) (1992)

venerdì 1 febbraio 2019

Sex, power and the politics of identity

Interview at Michel Foucault conducted by B. Gallagher and A. Wilson in Toronto in June 1982. It appeared in The Advocate 400 (7 August 1984) pp.26-30 and 58


Q. You suggest in your work that sexual liberation is not so much the uncovering of secret truths about one's self or one's desire as it is a part of the process of defining and constructing desire. What are the practical implications of this distinction?
M.F. What I meant was that I think what the gay movement needs now is much more the art of life than a science or scientific knowledge (or pseudoscientific knowledge) of what sexuality is. Sexuality is a part of our behavior. It's a part of our world freedom. Sexuality is something that we ourselves create -it is our own creation, and much more than the discovery of a secret side of our desire. We have to understand that with our desires, through our desires, go new forms of relationships, new forms of love, new forms of creation. Sex is not a fatality: it's a possibility for creative life.

Q.That's basically what you're getting at when you suggest that we should try to become gay -not just to reassert ourselves as gay.
M.F. Yes, that's it. We don't have to discover that we are homosexuals.

Q. Or what the meaning of that is?
M.F. Exactly. Rather, we have to create a gay life. To become.


Q. And this is something without limits?
M.F. Yes, sure, I think when you look at the different ways people have experienced their own sexual freedoms-the way they have created their works of art -you would have to say that sexuality, as we now know it, has become one of the most creative sources of our society and our being. My view is that we should understand it in the reverse way: the world regards sexuality as the secret of the creative cultural life; it is, rather, a process of our having to create a new cultural life underneath the ground of our sexual choices.

Q. Practically speaking, one of the effects of trying to uncover that secret has meant that the gay movement has remained at the level of demanding civil or human rights around sexuality. That is, sexual liberation has remained at the level of demanding sexual tolerance.
M.F. Yes, but this aspect must be supported. It is important, first, to have the possibility -and the right- to choose your own sexuality. Human rights regarding sexuality are important and are still not respected in many places. We shouldn't consider that such problems are solved now. It's quite true that there was a real liberation process in the early seventies. This process was very good, both in terms of the situation and in terms of opinions, but the situation has not definitely stabilized. Still, I think we have to go a step further. I think that one of the factors of this stabilization will be the creation of new forms of life, relationships, friendships in society, art, culture, and so on through our sexual, ethical, and political choices. Not only do we have to defend ourselves, not only affirm ourselves, as an identity but as a creative force.

Q. A lot of that sounds like what, for instance, the women's movement has done, trying to establish their own language and their own culture.
M.F. Well, I'm not sure that we have to create our own culture. We have to create culture. We have to realize cultural creations. But, in doing so, we come up against the problem of identity. I don't know what we would do to form these creations, and I don't know what forms these creations would take. For instance, I am not at all sure that the best form of literary creations by gay people is gay novels.

Q. In fact, we would not even want to say that. That would be based on an essentialism that we need to avoid.
M.F. True. What do we mean for instance, by "gay painting"? Yet, I am sure that from the point of departure of our ethical choices, we can create something that will have a certain relationship to gayness. But it must not be a translation of gayness in the field of music or painting or what have you, for I do not think this can happen.

Q. How do you view the enormous proliferation in the last ten or fifteen years of male homosexual practices: the sensualization, if you like, of neglected parts of the body and the articulation of new pleasures? I am thinking, obviously, of the salient aspects of what we call the ghetto-porn movies, clubs for S&M or fistfucking, and so forth. Is this merely an extension into another sphere of the general proliferation of sexual discourses since the nineteenth century, or do you see other kinds of developments that are peculiar to this present historical context?
M.F. Well, I think what we want to speak about is precisely the innovations those practices imply. For instance, look at the S&M subculture, as our good friend Gayle Rubin would insist. I don't think that this movement of sexual practices has anything to do with the disclosure or the uncovering of S&M tendencies deep within our unconscious, and so on. I think that S&M is much more than that; it's the real creation of new possibilities of pleasure, which people had no idea about previously. The idea that S&M is related to a deep violence, that S&M practice is a way of liberating this violence, this aggression, is stupid. We know very well what all those people are doing is not aggressive; they are inventing new possibilities of pleasure with strange parts of their body -through the eroticization of the body. I think it's a kind of creation, a creative enterprise, which has as one of its main features what I call the desexualization of pleasure. The idea that bodily pleasure should always come from sexual pleasure as the root of all our possible pleasure -I think that's something quite wrong. These practices are insisting that we can produce pleasure with very odd things, very strange parts of our bodies, in very unusual situations, and so on.

Q. So the conflation of pleasure and sex is being broken down.
M.F. That's it precisely. The possibility of using our bodies as a possible source of very numerous pleasures is something that is very important. For instance, if you look at the traditional construction of pleasure, you see that bodily pleasure, or pleasures of the flesh, are drinking, eating, and fucking. And that seems to be the limit the understanding of our body, our pleasures. What frustrates me, for instance, is the fact that the problem of drugs is always envisaged Only as a problem of freedom and prohibition. I think that drugs must become a part of our culture.

Q. As a pleasure?
M.F. As a pleasure. We have to study drugs. We have to experience drugs. We have to do good drugs that can produce very intense pleasure. I think this puritanism about drugs, which implies that you can either be for drugs or against drugs, is mistaken. Drugs have now become a part of our culture. Just as there is bad music and good music, there are bad drugs and good drugs. So we can't say we are "against" drugs any more than we can say we're "against" music.

Q. The point is to experiment with pleasure and its possibilities.
M.F. Yes. Pleasure also must be a part of our culture. It is very interesting to note, for instance, that for centuries people generally, as well as doctors, psychiatrists, and even liberation movements, have always spoken about desire, and never about pleasure. "We have to liberate our desire," they say. No! We have to create new pleasure. And then maybe desire will follow.

Q. Is it significant that there are, to a large degree, identities forming around new sexual practices, like S&M? These identities help in exploring such practices and defending the right to engage in them. But are they also limiting in regards to the possibilities of individuals?
M.F. Well, if identity is only a game, if it is only a procedure to have relations, social and sexual -pleasure relationships that create new friendships, it is useful. But if identity becomes the problem of sexual existence, and if people think that they have to "uncover" their "own identity," and that their own identity has to become the law, the principle, the code of their existence; if the perennial question they ask is "Does this thing conform to my identity?" then, I think, they will turn back to a kind of ethics very close to the old heterosexual virility. If we are asked to relate to the question of identity, it must be an identity to our unique selves. But the relationships we have to have with ourselves are not ones of identity, rather, they must be relationships of differentiation, of creation, of innovation. To be the same is really boring. We must not exclude identity if people find their pleasure through this identity, but we must not think of this identity as an ethical universal rule.

Q. But up to this point, sexual identity has been politically very useful.
M.F. Yes, it has been very useful, but it limits us, and I think we have -and can have- a right to be free.

Q. We want some of our sexual practices to be ones of resistance in a political and social sense. Yet how is this possible, given that control can be exercised by the stimulation of pleasure? Can we be sure that these new pleasures won't be exploited in the way advertising uses the stimulation of pleasure as a means of social control?
M.F. We can never be sure. Infact, we can always be sure it will happen, and that everything that has been created or acquired, any ground that has been gained will, at a certain moment be used in such a way. That’s the way we live, that's the way we struggle, that's the way of human history. And I don't think that is an objection to all those movements or all those situations. But you are quite right in underlining that we always have to be quite careful and to be aware of the fact that we must move on to something else, that we have other needs as well. The S&M ghetto in San Francisco is a good example of a community that has experimented with, and formed an identity around, pleasure. This ghettoization, this identification, this procedure of exclusion and so on -all of these have, as well, produced their countereffects. I dare not use the word dialectics- but this comes rather close to it.

Q. You write that power is not just a negative force but a productive one; that power is always there; that where there is power, there is resistance; and that resistance is never in a position of externality vis-a-vis power. If this is so, then how do we come to any other conclusion than that we are always trapped inside that relationship that we can't somehow break out of it.
M.F. Well, I don't think the word trapped is a correct one. It is a struggle, but what I mean by power relations is the fact that we are in a strategic situation toward each other. For instance, being homosexuals, we are in a struggle with the government, and the government is in a struggle with us. When we deal with the government, the struggle, of course, is not symmetrical, the power situation is not the same; but we are in this struggle, and the continuation of this situation can influence the behavior or nonbehavior of the other. So we are not trapped. We are always in this kind of situation. It means that we always have possibilities, there are always possibilities of changing the situation. We cannot jump outside the situation, and there is no point where you are free from all power relations. But you can always change it. So what I've said does not mean that we are always trapped, but that we are always free -well, anyway, that there is always the possibility of changing.

Q. So resistance comes from within that dynamic?
M.F. Yes. You see, if there was no resistance, there would be no power relations. Because it would simply be a matter of obedience. have to use power relations to refer to the situation where you're not doing what you want. So resistance comes first, and resistance remains superior to the forces of the process; power relations are obliged change with the resistance. So I think that resistance is the main word, the key word, in this dynamic.

Q. Politically speaking, probably the most important part of looking at power is that, according to previous conceptions, "to resist" was simply to say no. Resistance was conceptualized only in terms of negation. Within your understanding, however, to resist is not simply a negation but a creative process; to create and recreate, to change the situation, actually to be an active member of that process.
M.F. Yes, that is the way I would put it. To say no is the minimum form of resistance. But, of course, at times that is very important. You have to say no as a decisive form of resistance.

Q. This raises the question of in what way, and to what degree, can a dominated subject (or subjectivity) actually create its own discourse. In traditional power analysis, the omnipresent feature of analysis is the dominant discourse, and only as a subsidiary are there reactions to, or within, that discourse. However, if what we mean by resistance in power relations is more than negation, then aren't some practices like, say, lesbian S&M, actually ways for dominated subjects to formulate their own languages?
M.F. Well, you see, I think that resistance is a part of this strategic relationship of which power consists. Resistance really always relies upon the situation against which it struggles. For instance, in the gay movement the medical definition of homosexuality was a very important tool against the oppression of homosexuality in the last part of the nineteenth century and in the early twentieth century. This medicalization, which was a means of oppression, has always been a means of resistance as well since people could say, "If we are sick, then why do you condemn us, why do you despise us?" and so on. Of course, this discourse now sounds rather naive to us, but at the time it was very important. I should say, also, that I think that in the lesbian movement, the fact that women have been, for centuries and centuries, isolated in society, frustrated, despised in many ways, and so on, has given them the real possibility of constituting a society, of creating a kind of social relation between themselves, outside the social world that was dominated by males. Lillian Faderman's book Surpassing the Love of Men is very interesting in this regard. It raises the question: What kind of emotional experience, what kind of relationships, were possible in a world where women in society had no social, no legal, and no political power? And she argues that women used that isolation and lack of power.

Q. If resistance is a process of breaking out of discursive practices, it would seem that the case that has a prima facie claim to be truly oppositional might be something like lesbian S&M. To what degree ran such practices and identities be seen as challenging the dominant discourse?
M.F. What I think is interesting now, in relation to lesbian S&M, is that they can get rid of certain stereotypes of femininity which have been used in the lesbian movement -a strategy that the movement has erected from the past. This strategy has been based on their oppression. But now, maybe, these tools, these weapons are obsolete. We can see that lesbian S&M tried to get rid of all those old stereotypes of femininity, of antimale attitude and so on.

Q. What do you think we can learn about power and, for that matter, about pleasure from the practice of S&M -that is, the explicit eroticization of power?
M.F. One can say that S&M is the eroticization of power, the erotici- zation of strategic relations. What strikes me with regard to S&M is how it differs from social power. What characterizes power is the fact that it is a strategic relation which has been stabilized through institutions. So the mobility in power relations is limited, and there are strongholds that are very, very difficult to suppress because they have been institutionalized and are now very pervasive in courts, codes, and so on. All this means that the strategic relations of people are made rigid. On this point, the S&M game is very interesting because it is a strategic relation, but it is always fluid. Of course, there are roles, but everybody knows very well that those roles can be reversed. Sometimes the scene begins with the master and slave, and at the end the slave has become the master. Or, even when the roles are stabilized, you know very well that it is always a game. Either the rules are transgressed, or there is an agreement, either explicit or tacit, that makes them aware of certain boundaries. This strategic game as a source of bodily pleasure is very interesting. But I wouldn't say that it is a reproduction, inside the erotic relationship, of the structures of power. It is an acting-out of power structures by a strategic game that is able to give sexual pleasure or bodily pleasure.

Q. How does this strategic relation in sex differ for that in power relations?
M.P. The practice of S&M is the creation of pleasure, and there is an identity with that creation. And that's why S&M is really a subculture. It's a process of invention. S&M is the use of a strategic relationship as a source of pleasure (physical pleasure). It is not the first time that people have used strategic relations as a source of pleasure. For instance, in the Middle Ages there was the institution of "courtly love," the troubadour, the institutions of the love relationships between the lady and the lover, and so on. That, too, was a strategic game. You even find this between boys and girls when they are dancing on Saturday night. They are acting out strategic relations. What is interesting is that, in this heterosexual life, those strategic relations come before sex. It's a strategic relation in order to obtain sex. And in S&M those strategic relations are inside sex, as a convention of pleasure within a particular situation. In the one case, the strategic relations are purely social relations, and it is your social being that is involved; while, in the other case, it is your body that is involved. And it is this transfer of strategic relations from the court(ship) to sex that is very interesting.

Q. You mentioned in an interview in GaiPied a year or two ago that what upsets people most about gay relations is not so much sexual acts per se but the potential for affectional relationships carried on outside the normative patterns. These friendships and networks are unforeseen. Do you think what frightens people is the unknown potential of gay relations, or would you suggest that these relations are seen as posing a direct threat to social institutions?
M.F. One thing that interests me now is the problem of friendship. For centuries after antiquity, friendship was a very important kind of social relation: a social relation within which people had a certain freedom, certain kind of choice (limited of course), as well as very' intense emotional relations. There were also economic and social implications to these relationships -they were obliged to help their friends, and so on. I think that in the sixteenth and seventeenth centuries, we see these kinds of friendships disappearing, at least in the male society. And friendship begins to become something other than that. You can find, from the sixteenth century on, texts that explicitly criticize friendship as something dangerous. The army, bureaucracy, administration, universities, schools, and so on -in the modern senses of these words- cannot function with such intense friendships. I think there can be seen a very strong attempt in all these institutions to diminish or minimize the affectional relations. 1 think this is particularly important in schools. When they started grade schools with hundreds of young boys, one of the problems was how to prevent them not only from having sex, of course, but also from developing friendships. For instance, you could study the strategy of Jesuit institutions about this theme of friendship, since the Jesuits knew very well that it was impossible for them to suppress this. Rather, they tried to use the role of sex, of love, of friendship, and at the same time limit it. I think now, after studying the history of sex, we should try to understand the history of friendship, or friendships. That history is very, very important. And one of my hypotheses, which I am sure would be borne out if we did this, is that homosexuality became a problem -that is, sex between men became a problem- in the eighteenth century. We see the rise of it as a problem with the police, within the justice system, and so on. I think the reason it appears as a problem, as a social issue, at this time is that friendship had disappeared. As long as friendship was something important, was socially accepted, nobody realized men had sex together. You couldn't say that men didn't have sex together -it just didn't matter. It had no social implication, it was culturally accepted. Whether they fucked together or kissed had no importance. Absolutely no importance. Once friendship disappeared as a culturally accepted relation, the issue arose: "What is going on between men?" And that's when the problem appears. And if men fuck together, or have sex together, that now appears as a problem. Well, I'm sure I'm right, that the disappearance of friendship as a social relation and the declaration of homosexuality as a social/political/medical problem are the same process.

Q. If the important thing now is to explore a new the possibilities of friendships, we should note that, to a large degree, all the social institutions are designed for heterosexual friendships and structures, and the denial of homosexual ones. Isn't the real task to set up new social relations, new value structures, familial structures, and so on? One of the things gay people don't have is easy access to all the structures and institutions that go along with monogamy and the nuclear family. What of institutions do we need to begin to establish, in order not just to defend ourselves but also to create new social forms that are really going to be alternative?
M.F. Institutions. I have no precise idea. I think, of course, that to use the model of family life, or the institutions of the family, for this purpose and this kind of friendship would be quite contradictory. But it is quite true that since some of the relationships in society are protected forms of family life, an effect of this is that the variations which are not protected are, at the same time, often much richer, more interesting and creative than the others. But, of course, they are much more fragile and vulnerable. The question of what kinds of institutions we need to create is an important and crucial issue, but one that I cannot give an answer to. I think that we have to try to build a solution.

Q. To what degree do we want, or need, the project of gay liberation today to be one that refuses to chart a course and instead insists on opening up new venues? In other words, does your approach to sexual politics deny the need for a program and insist on experimentation with new kind of relations?
M.F. I think that one of the great experiences we've had since the last war is that all those social and political programs have been a great failure. We have come to realize that things never happen as we expect from a political program, and that a political program has always, or nearly always, led to abuse or political domination from a bloc -be it from technicians or bureaucrats or other people. But one of the developments of the sixties and seventies which I think has been a good thing is that certain institutional models have been experimented with without a program. Without a program does not mean blindness -to be blind to thought. For instance, in France there has been a lot of criticism recently about the fact that there are no programs in the various political movements about sex, about prisons, about ecology, and so on. But in my opinion, being without a program can be very useful and very original and creative, if it does not mean without proper reflection about what is going on, or without very careful attention to what's possible. Since the nineteenth century, great political institutions and great political parties have confiscated the process of political creation; that is, they have tried to give to political creation the form of a political program in order to take over power. I think what happened in the sixties and early seventies is something to be reserved. One of the things that I think should be preserved, however, is the fact that there has been political innovation, political creation, and political experimentation outside the great political parties, and outside the normal or ordinary program. It's a fact that people's everyday lives have changed from the early sixties to now, and certainly within my own life. And surely that is not due to political parties but is the result of many movements. These social movements have really changed our whole lives, our mentality, our attitudes, and the attitudes and mentality of other people - people who do not belong to these movements. And that is something very important and positive. I repeat, it is not the normal and old traditional political organizations that have led to this examination.

Why? Because you always hurt the one you love




Why?
Because it feels good;
because it gives me an erection;
because it makes me come;
because I’m sick;
because there was so much sickness;
because I say fuck the sickness;
because I like the attention;
because I was alone alot;
because I was different;
because kids beat me up on the way to school;
because I was humiliated by nuns;
because of Christ and the crucifixion;
because of Porky Pig in bondage, force-fed by some sinister creep in a black cape;
because of stories of children hung by their wrists, burned on the stove, scalded in tubs;
because of Mutiny on the Bounty;
because of cowboys and Indians;
because of Houdini;
because of my cousin Cliff;
because of the forts we built and the things we did inside them;
because of my genes;
because of my parents;
because of doctors and nurses;
because they tied me to the crib so I wouldn’t hurt myself;
because I had time to think;
because I had time to hold my penis;
because I had awful stomach aches and holding my penis made it feel better;
because I’m a Catholic;
because I still love Lent, and I still love my penis, and in spite of it all I have no guilt;
because my parents said be what you want to be, and this is what I want to be;
because I’m nothing but a big baby and I want to stay that way, and I want a mommy forever, even a mean one, especially a mean one;
because of all the fairy tale witches and the wicked step mother, and the step sisters, and how sexy Cinderella was, smudged with soot, doomed to a life of servitude;
because of Hansel, locked in a witch’s cage until he was fat enough to eat;
because of “O” and how desperately I wanted to be her;
because of my dreams;
because of the games we played;
because I have an active imagination;
because my mother bought me tinker toys;
because hardware stores give me hard-ons;
because of hammers, nails, clothespins, wood, padlocks, pullies, eyebolts, thumbtacks, staple-guns, sewing needles, wooden spoons, fishing tackle, chains, metal rulers, rubber tubing, spatulas, rope, twine, C-clamps, S-hooks, razor blades, scissors, tweezers, knives, push pins, two-by-fours, ping-pong tables, alligator clips, duct tape, broom sticks, bar-b-que skewers, bungie cords, saw horses, soldering irons;
because of tool sheds;
because of garages;
because of basements;
because of dungeons;
because of The Pit and The Pendulum;
because of the Inquisition;
because of the rack;
because of the cross;
because of the Addams Family playroom;
because of Morticia Addams and her black dress with its octopus legs;
because of motherhood;
because of Amazons;
because of the Goddess;
because of the Moon;
because it’s in my nature;
because it’s against nature;
because it’s nasty;
because it’s fun;
because it flies in the face of all that’s normal, whatever that is;
because I’m not normal;
because I used to think that I was part of some vast experiment and that there was this implant in my penis that made me do these things and allowed them, whoever they were, to monitor my activities;
because I had to take my clothes off and lie inside this giant plastic bag so the doctors could collect my sweat;
because once upon a time I had such a high fever my parents had to strip me naked and wrap me in sheets to stop the convulsions;
because my parents loved me even more when I was suffering;
because I was born into a world of suffering;
because surrender is sweet;
because I’m attracted to it;
because I’m addicted to it;
because endorphins in the brain are like a natural kind of heroin;
because I learned to take my medicine;
because I was a big boy for taking it;
because I can take it like a man;
because, as someone once said, he’s got more balls than I do;
because it is an act of courage;
because it does take guts;
because I’m proud of it;
because I can’t climb mountains;
because I’m terrible at sports;
because no pain, no gain;
because spare the rod and spoil the child;

BECAUSE YOU ALWAYS HURT THE ONE YOU LOVE.

Bob Flanagan il Supermasochista

Il 4 gennaio 1996 in California moriva Bob Flanagan, aveva 43 anni ed era malato di fibrosi cistica. Artista eclettico, comico, scrittore, musicista, era sposato con Sheree Rose con cui condivideva l'amore intensamente praticato per l'arte e per il sadomasochismo.

Racconta Sheree: "Direi che ci sono state tre fasi principali nella nostra relazione. La prima fase è stata la nostra vita personale - solo lui ed io e tutte le cose pazze, selvagge e divertenti che abbiamo fatto insieme durante i primi due anni. Anche se ho fotografato tutto, questa documentazione era solo per noi. I successivi cinque anni, la seconda fase, sono stati dedicati all'organizzazione della comunità sadomaso, che non era mai stata sviluppata prima di allora. L'SM è stato un aspetto molto importante delle nostre vite. Ci abbiamo creduto abbastanza per riversare tutte le nostre energie nel fare dell'SM un movimento nazionale e creare spazi pubblici e comunitari a questo scopo. Siamo diventati portavoce del movimento sadomaso, tenendo conferenze e dimostrazioni e sensibilizzando il pubblico sulla comunità SM. Al giorno d'oggi è andato ben oltre le nostre aspettative ma a quel tempo il movimento SM stava appena cominciando. E, poiché abbiamo ottenuto risposte così positive all'interno della comunità SM, abbiamo accarezzato l'idea di portare l'SM nel mainstream. Quello fu l'inizio della terza fase, la fase dell'arte."



Bob Flanagan aveva imparato a combattere il dolore della malattia che pervadeva la sua vita con le pratiche sadomaso, era riuscito ad esorcizzarlo, a trasmutare il dolore in piacere masochistico al punto tale di trasformare questa pratica in una performance artistica da esibire in pubblico come forma d'arte, lui era l'opera vivente esposta e Sheree era l'artista creatrice e dominante.

Il Supermasochista, era questo il suo nickname perche' aveva fondato la sua relazione con la moglie come stile di vita sadomaso sugellato da un contratto di schiavitu': lui era il suo schiavo, e più lei abusava di lui (fisicamente o mentalmente) più cresceva il suo desiderio per lei.

Dal privato al pubblico esibito: in Auto erotic SM, performance artistica tenuta a Los Angeles nel 1989, Bob Flanagan proiettando diapositive sanguinose della sua malattia portava avanti una serie di atti sessuali sadomaso con la sua partner Sheree Rose e concluse inchiodando il suo pene a una tavola di legno.

Fu anche protagonista di un video musicale dei Nine Inch Nail, Happiness in Slavery del 1992, qui visibile la versione originale non censurata.

Nine Inch Nails: Happiness In Slavery (Uncensored) (1992)

Nel 1997 e' uscito il documentario di Birby Dick
SICK the life and death of Bob Flanagan, Supermasochist



Qui trovate una interessante recensione di A. Bruzzone: Questo pluripremiato ed avvincente documentario biografico, è un vero e proprio testamento voluto da Flanagan per raccontare la sua esperienza sino alla morte; una morte che il performer vedeva avvicinarsi sempre più, con crisi respiratorie e ricoveri sempre più lunghi e dolorosi. Il regista Kirby Dick è molto efficace nell’accompagnare Bob nel suo racconto, da cui traspare l’immagine di un artista controverso ma pieno di voglia di vivere, e decisamente battagliero; un uomo ironico e intelligente, convinto e orgoglioso della propria identità e del valore della sua esperienza. Ma se il taglio (auto)biografico costituisce un punto di forza del documentario, per altri versi ne è anche l’insuperabile limite: per quanto Flanagan non lesini affatto in humor nero e anticonformismo, la sua caratterizzazione nel documentario è decisamente agiografica. E non poche sono le occasioni (le relazioni con i genitori e il fratello, la sua conflittuale religiosità cattolica…) in cui sorgono dubbi sull’obiettività del racconto. Ovviamente per quanto la fibrosi cistica abbia una parte rilevante sia nella narrazione, sia nella stessa poetica artistica di Flanagan, nondimeno il masochismo non è mai in secondo piano. Anzi, è ben presente in un florilegio di tutte le sue declinazioni: spanking, frustate, bondage, umiliazioni, immobilizzazioni, tagli, chiodi, penetrazioni anali con vari oggetti, sospensioni aeree, e quant’altro. Le immagini sono piuttosto forti, coinvolgendo spesso i genitali del protagonista; per questo, sono costate al documentario diversi problemi con la censura. (...)

lunedì 28 gennaio 2019

aggiungere la K di Kinky all'arcobaleno LGBT?

Periodicamente la galassia arcobaleno espande i propri confini, cosi da Gay e Lesbiche, Bisessuali e Trans, Queer, Intersex, Asexual, Polyamorous Pansexual... ero rimasto indietro all'acronimo LGBT e mi ritrovo a dover decodificare un LGBTQIAP, per gli amici LGBT+

Ora la novita' sarebbe la K di Kinky, definizione che in italiano non saprei tradurre se non "Particolare" e nel cui ambito ricadrebbe anche il BDSM.
Storco subito il naso per il Kinky, non mi ci sento affatto Kinky, sono un Sadomaso che gia' ha faticato a farsi incasellare nel BDSM.

Comunque il rischio della nuova etichetta appare remoto perche' gli iscritti al club multicolore LGBT+ non sembrano nutrire grande desiderio per aggiungere una K finale e viceversa in tutti questi anni il mondo BDSM non si e' avvicinato ai cugini arcobaleno.

l'obiezione piu' sensata all'inclusione della K e' che essere kinky e' solo attinente al modo di fare sesso ed e' un problema perche' il movimento LGBT+ non si definisce in base a come fai sesso ma a come sei persona. Una mail ricevuta mi spiegava: non c'e' niente contro il gruppo kinky, ma noi LGBT siamo sempre visti come quelli che fanno sesso e questo non e' corretto. Includere il Kinky significa ritornare indietro a quella convinzione, significa che persone normali che sono appena attratte dalla sculacciata possono occupare i nostri spazi.

Da Sadomaso convinto sono perplesso di finire sotto l'ombrello colorato LGBT+ pero' nel contempo mi dispiace non avere alle spalle un gruppo capace di difendere il praticante BDSM in caso di problemi importanti sul lavoro, la salute, sui figli o comunque in tribunale e sui mezzi di comunicazione. Mi auguro che non serva mai a nessuno ma...

Gradito il vostro parere...

articolo completo qui https://metro.co.uk/2018/02/05/k-kinky-inc...39/?ito=cbshare

mercoledì 28 febbraio 2018

Ambrogio il maggiordomo tuttofare

Umiliati e contenti Sesso, lo schiavo si racconta: "Voglio essere sottomesso, stiro per lei e faccio tutto quello che mi chiede" «La società ha relegato il sesso forte ad una visione distorta di macho, tanto da privarci della libertà di coccolare, viziare e riverire il gentil sesso. Io servirei tutte le mie colleghe in ufficio, porterei loro il caffè alla scrivania, ma per non fare la figura dello sfigato, mi trattengo. Inoltre, so che se facessi queste carinerie, penserebbero che ci stia provando e che voglia portarmele a letto», afferma Ambrogio, per il quale «vedere una donna compiaciuta è fonte di piacere ed eccitazione mentali». «Io mi sento strano, nel senso non normale, anche se non faccio nulla di male. Amo gratificare ed appagare la mia padrona, sebbene questa mi disprezzi e mi tratti come un oggetto. Ed è proprio questo ciò che mi piace: annullare me stesso per la sua felicità», continua lo schiavo. Articolo completo su liberoquotidiano.it

giovedì 22 febbraio 2018

Al servizio di Domina Sreni

Alle otto in punto come il mercoledi' precedente sono all'ingresso; suono, nessuna risposta ma poco dopo il pesante cancello si apre con un rumore che ricorda un carcere da film americano. Arrivo alla porta, e' socchiusa, "permesso?" chiedo titubante, in risposta la sua voce sicura "Prima indossa la tua divisa nello sgabuzzino e dopo portami la tua chastity, sissy!" Eseguo senza esitare, indosso calze a rete, sottogonna, corpetto stringivita, il vestito in raso nero da sissymaid vittoriana con bordatura in pizzo bianco, grembiule, guanti e crestina bianca, infine le scarpe mary-jane di vernice nera con cinturino bianco traforato, il tacco di 7 centimetri mi fa camminare appena insicura con passi corti e veloci. Con la cintura di castita' sul vassoio entro in camera presentandomi con un goffo inchino di riverenza alla Padrona. Domina Sreni sorride al mio arrivo in camera, mi saluta, mi fa avvicinare e sollevare il sottogonna per chiudermi nella chastity belt di silicone rosa; stringe un anello intorno ai testicoli e lo collega al cappuccio infilato sul pene, "oggi lo stringiamo meglio e vediamo se resisti fino alla prossima settimana" e inserendo un piccolo distanziatore serra i miei genitali in una stretta morsa con lucchetto riponendo la chiave nel cassetto del comodino. Spostando con un dito la chastity la Mistress nota una ricrescita di peluria, "lo sapevo che la rasatura non durava, la prossima settimana ti faccio una ceretta intima ben fatta, ti voglio sempre in ordine e ben pulita". Annuisco e ringrazio la Padrona che mi elenca il programma della mattina: pulizia del bagno come prima cosa, poi preparare e servire la colazione, riassettare e pulire la camera, lavare stendere e stirare la biancheria, infine spolverare e riordinare il dungeon. Cosa spinge un uomo che non e' un maniaco dell'attivita' domestica a diventare la caricatura di una colf, una serva volontaria non retribuita? Difficile a spiegarsi, forse la ricerca di una particolare modalita' relazionale con la Donna Dominante, il prendersi cura di Lei e delle sue esigenze quotidiane puo' essere il driver di questa passione? Il tentativo di integrare in un gioco di ruolo sadomaso bdsm anche un versante 'sentimentale'? E quanto conta l'omosessualita' in questo travestimento al femminile? Perversione o repressione? Questo pensiero mi girava in testa mentre a carponi stavo pulendo con uno spazzolino gli interstizi fra le piastrelle del pavimento, quando da dietro sento il piede di Domina Sreni appoggiarsi sulla schiena "ho un pensierino per te sissy" e alzandomi il sottogonna mi assesta un paio di colpi sulle natiche poi la sento infilarsi un guanto di latex e saggiare l'elasticita' del mio 'fiorellino anale'. "Sei stretta sissy, vuoi farmi credere che sei vergine? -Ride- Da ora in avanti quando sei a servizio da me ti voglio sempre con questo plug nel sederino, servetta sei troppo stretta e Io amo fistare" detto questo mi spinge lentamente con pressione costante un plug d'acciaio chirurgico nell'ano e arrivata in fondo con un altro ceffone dietro mi invita a riprendere il lavoro a quattrozampe. Lo sconforto aumenta: la fatica delle mansioni cui non sono abituato, la scomodita' dell'abbigliamento e dei tacchi alti, la costrizione dei genitali che si gonfiano per l'intrusione posteriore, l'umiliazione patita e documentata con scatti fotografici mi fanno sudare e vacillare. Proseguo comunque le pulizie con il massimo impegno mentre Domina Sreni alterna momenti di indifferenza in cui non mi degna di attenzione con momenti degni di un'ispezione militare per scrupolo e severita' nell'esaminare il mio lavoro, abbigliamento e comportamento. Quando mi concede una magnanima pausa in ginocchio ai suoi piedi "Ti voglio tenere sissy, mi serve una sguattera devota e volenterosa; ti addestrero' a diventare una schiava degna di servirmi. Dovrai patire dolore segni sofferenze, se anche non sei masochista lo diventerai per devozione alla tua mistress." Cosi' dicendo apri' le due piccole cerniere in corrispondenza dei miei capezzoli e li strinse fra le unghie per pinzarli con due morsetti punitivi tedeschi collegati da una pesante catena a maglie strette. Alla mia smorfia di dolore.. "mi fa molto piacere tu abbia sentito dolore, il dolore resta nella memoria." Per sapere dei miei capezzoli supplicanti vi invito al prossimo post. Foto da DominaSreni.net

mercoledì 6 dicembre 2017

Otto Dix









Dedicated to Sadists, 1922







Dream of the sadist

Il Cliente e la Prostituzione














tratto da http://www.amicidilazzaro.it/index.php/il-cliente-origine-e-causa-della-prostituzione/ di Armando Buonaiuto

Le motivazioni
Ovviamente li spinge la ricerca di sesso, ma c’è una varietà di sfumature che definisce in modo più articolato le possibili spinte:

– rassicurazione alla propria virilità. A volte questo conferisce al commercio sessuale una sorta di funzione “terapeutica” (per categorie deboli, vedi il caso dei disabili), a volte è una via preferenziale di iniziazione al sesso, perché non ti espone alla paura di sbagliare o di essere giudicato non all’altezza.

– soddisfazione immediata di un bisogno biologico, che rivela una concezione egoistica del piacere.

– curiosità e desiderio di nuove esperienze, vale a dire ricerca di diversità, sia etnica (come avviene ad esempio nei riguardi delle donne africane), che sessuale (come nel caso dei rapporti con transessuali).

– dimostrazione ed esercizio di un potere sessuale ed economico, e affermazione della propria supremazia maschile di fronte ad un oggetto sessuale degradato e vulnerabile.

– la compulsione, cioè l’essere vittime della propria incapacità di gestire le proprie inclinazioni, i propri appetiti.

– il bisogno di ascolto. Alcuni sono spinti dalla ricerca di ascolto, di coccole, a volte addirittura dalla ricerca di amore.

– altri, al contrario, sono spinti dal desiderio di una pratica sessuale che sia esplicitamente priva di qualsiasi coinvolgimento emotivo o affettivo (cosa che, per alcuni clienti sposati, non equivale a infedeltà).

– i giustizieri. Generalmente in gruppo, vogliono punire le prostitute per il giudizio moralistico che hanno su di loro.

(...) In generale, la concezione della femminilità di cui i clienti sono lo specchio è molto bassa: si cercano donne remissive e accondiscendenti, oggetti e non essere umani, sfogatoi per le proprie pulsioni e frustrazioni o, nella peggiore delle ipotesi, bersagli di una violenza che esprime la connessione oggi molto accentuata tra sessualità, potere e mercificazione.

Rudolf Schlichter, 1930

Rudolf Schlichter (1890-1955) - come Hermann Hesse - nacque a Calw, una piccola citta' in Württemberg. Lasciò presto la scuola e iniziò un apprendistato come pittore in una fabbrica di Pforzheim. La seguente diceria di Schlichter che, da ragazzo di dodici anni, iniziò a lavorare come garzone in un Grand Hotel mettendo insieme un'entusiasmante collezione di tacchi alti rubati, fu probabilmente inventata. Dal 1906 al 1909 frequenta la Scuola di Arti e Mestieri di Stoccarda e successivamente studia con Hans Thoma e Wilhelm Trübner alla Art Academy di Karlsruhe.

Dopo gli studi, Schlichter ha condiviso un appartamento con Fanny Hablützel, una ragazza di strada professionista, e si è guadagnata da vivere vendendo immagini pornografiche con lo pseudonimo di Udor Rédyl.
Chiamato per il servizio militare durante la prima guerra mondiale, Schlichter fece lo sciopero della fame per ottenere il congedo anticipato, e nel 1919 si trasferì a Berlino, dove si unì al KPD (Partito comunista tedesco) e al gruppo di novembre.


Schlichter ha partecipato alla prima fiera Dada di Berlino nel 1920 dove ha esposto - insieme a John Heartfield - l'opera dell'Arcangelo Prussiano, un ufficiale militare dalla testa di porco sospeso dal soffitto. Ha anche lavorato come illustratore per diversi periodici, in particolare Arbeiter Illustrierte Zeitung (AIZ), Die Rote Fahne ed Eulenspiegel. L'arte divenne l'arma di Schlichter nella lotta politica contro l'alta societa' e il militarismo. I suoi soggetti preferiti erano rappresentazioni della città, scene di strada, sottocultura della bohème intellettuale e del mondo sotterraneo, ritratti e scene erotiche.


Nel 1922, un gruppo di artisti - Otto Dix, Conrad Felixmüller, Rudolf Schlichter, Carlo Mense, Carl Hofer, Georg Schrimpf e Heinrich Maria Davringhausen - derisero il gruppo di novembre per essersi depoliticizzati e successivamente fondarono un movimento artistico per essere poi nominati Neue Sachlichkeit o nuova oggettività. Il loro lavoro, che fu poi condannato dai nazisti come "degenerato", fu intenso, angoloso e nervoso. Nel 1924, con John Heartfield e George Grosz, Schlichter creò il Rote Gruppe (il gruppo rosso).
Schlichter era considerato a quel tempo uno dei membri più importanti della Neue Sachlichkeit; Bert Brecht, Alfred Döblin, Oskar Maria Graf, Erich Kästner, Carl Zuckmeier ed Egon Erwin Kisch erano tra i suoi amici. Nel 1925 Schlichter partecipò alla mostra Neue Sachlichkeit alla Mannheim Kunsthalle (esattamente dove fu coniata la nozione di Neue Sachlichkeit). Il lavoro di Schlichter di questo periodo è stato realistico, un buon esempio sono i suoi ritratti di Karola Neher, Bertold Brecht e Margot, ora nel Museo Märkisches di Berlino. Quest'ultima rappresenta una prostituta che spesso ha posatato per Schlichter, in piedi su una strada deserta e con una sigaretta in mano.
Nel 1927, Schlichter fece amicizia con Elfriede Elisabeth Koehler, chiamata Speedy, una cocotte di Ginevra, che condivideva l'interesse di Schlichter per stivali abbottonati, schiavitù e giochi sadomaso. Schlichter allora abbandonò il movimento operaio e si associò a intellettuali conservatori come Ernst Jünger e Karl Kraus ("Non c'è più sfortunata creatura sotto il sole di un feticista che anela alla scarpa di una donna e deve accontentarsi di tutta la donna"). Presto e si è riunito nuovamente alla chiesa cattolica. Una strana mossa, ma Schlichter si sentiva masochista riguardo al suo masochismo e voleva confessare, mentre Speedy si accontentava di ufficializzare in qualche modo la sua nuova vita.

All'inizio degli anni Trenta Schlichter scrisse la sua autobiografia in due volumi: Das widerspenstige Fleisch (The Rebellious Flesh) e Tönerne Flüsse (Clay Rivers); quest'ultimo è stato immediatamente messo all'indice dal nuovo governo nazista a causa delle sue "tendenze erotiche-perverse". Nel 1932 la coppia Schlichter lasciò Berlino e si stabilì a Rottenburg (una piccola città vicino a Stoccarda). Tre anni dopo, fu espulso dall'Associazione degli scrittori tedeschi del Reich e trascorse un paio di mesi in prigione con l'accusa di favoreggiamento (Speedy aveva integrato le entrate familiari ricevendo i clienti paganti nel loro appartamento privato).


Nel 1937 molte delle opere di Schlichter furono mostrate nella famigerata Degenerate Art Exhibition, e nel 1939 il potere cieco delle autorità naziste lo bandì dall'esporre. Il suo studio fu distrutto dalle bombe alleate nel 1942. Un anno dopo la guerra, nel 1946, Schlichter partecipò al primo Deutsche Kunstausstellung di Dresda con alcuni dei suoi ultimi lavori surrealisti. Ha spiegato il suo turno al Surrealismo nel suo testo "Das Abenteuer der Kunst" (L'avventura dell'arte), che è stato pubblicato dalla Rowohlt Verlag nel 1949. Rudolf Schlichter morì a Monaco il 3 maggio 1955. http://weimarart.blogspot.it/2010/07/rudolf-schlichter.html

La riscossa della merda

Julia Kristeva: L’uomo e il suo sistema simbolico si costituiscono attraverso la costruzione di barriere tra l’osceno ( la sozzura) , escrementi, sangue, saliva, i quali , limitati da una ben definita linea di demarcazione dopo l’espulsione, sono destinati a non essere toccati o maneggiati ( se non , appunto, con disgusto), pena l’ammenda. ‘Non giocare con i tuoi escrementi’ è l’imperativo categorico che tutti noi abbiamo subito e dispensiamo ai nostri figli. Ciò che determina il lordo, l’immondo, è appunto il pulito, il lindo, il lecito. Che può definirsi come tale solo grazie all’esistenza del suo contraltare. E viceversa. Tra i due sistemi non ci sarà mai comunicazione se non in casi, appunto, di perversione.
www.psychiatryonline.it/node/5768

(...) Elias Canetti, nel suo straordinario Massa e potere (capitolo Afferrare e incorporare): "Anche prescindendo dal potente che sa concentrare tanto delle sue mani, il rapporto di ogni uomo con i suoi escrementi rientra nella sfera del potere. Nulla è appartenuto a un uomo più di ciò che si è trasformato in escremento. La pressione costante cui la preda divenuta cibo è sottoposta durante il suo peregrinare nel corpo, la sua dissoluzione, l'intimo vincolo che si stabilisce fra essa e chi la digerisce, la sparizione completa e definitiva dapprima di tutte le funzioni e poi di tutte le forme della sua precedente esistenza autonoma , la sua identificazione o assimilazione al corpo di chi la digerisce - tutto ciò rivela perfettamente il fondamentale, ma anche il più nascosto, meccanismo del potere. [...] Gli escrementi, che rimangono al termine del processo, sono carichi del nostro reato. Da essi si può capire che cosa abbiamo ucciso. Sono una concentrata raccolta di indizi contro di noi. [...] E' significativo che ci si isoli con essi. Ci si libera dei propri in locali particolari, che servono solo a ciò. [...] E' evidente che ci si vergogna dei propri. Essi sono il suggello primordiale di quel processo di potere della digestione, che si compie in segreto e che senza tale suggello rimane segreto". Groddeck in Il libro dell’Es scrive che ci si pulisce con cura, ci si lava appena possibile dopo ogni evacuazione, senza pensare che in ogni momento il nostro ventre è ripieno di quella sostanza disgustosa, chiama l’uomo “latrina ambulante” e gli dice in faccia che quanto più manifesta disgusto per gli escrementi tanto più considera sporca la propria anima.
La riscossa dell'escremento

sabato 10 giugno 2017

Lezione del 3 febbraio 1971

Lezioni sulla volonta' di sapere
Corso al College de France (1970-1971)
di Michel Foucault

Lezione del 3 febbraio 1971 --------------------------- Masochismo: il masochista non e' chi trova il suo piacere nella sofferenza. E' forse piuttosto colui che accetta la prova della verita' e vi sottomette il suo piacere: Se sopporto fino in fondo la prova della verita', se sopporto fino in fondo la prova alla quale mi sottoponi, allora io prevarro' sul tuo discorso e la mia affermazione sara' piu' forte della tua. Lo squilibrio tra il masochista e il suo partner attiene a questo, cioe' che il partner pone la domanda in termini apofantici: Dimmi qual'e' il tuo piacere, mostramelo; spiegamelo attraverso la griglia di domande che ti pongo, permettimi di constatarlo. Uso del paradosso. E il masochista risponde in termini ordalici: Io sopportero' sempre di piu' di quello che tu puoi fare. E il mio piacere e' in questo eccesso, sempre rinviato, mai soddisfatto. Esso non e' in cio' che fai, ma in quest'ombra vuota che ciascuno dei tuoi gesti gli proietta davanti. Alla domanda apofantica del suo partner il masochista non replica con una risposta, ma con una sfida ordalica; o meglio, percepisce una sfida ordalica e vi risponde: Al confine di cio' che puoi immaginare che io sia, io affermo il mio piacere.